Quattro chiacchiere con Silvia Badalotti, fotografa ed esperta di immagine

Silvia Badalotti

Silvia, mi racconti il tuo lavoro in Condiviso? 

Sono socia fondatrice di Condiviso dove mi occupo in generale di immagini e foto editing. Diciamo che tutto il lavoro di Condiviso che riguarda l’immagine passa attraverso il mio benestare e quindi potrei definirmi la Responsabile delle immagini. Svolgo anche attività di formazione in ambito fotografico e realizzo video e servizi fotografici per i nostri clienti. 

 

Quanto lavoro c’è dietro alla realizzazione di un’immagine? 

Dipende da tanti fattori, in primis dalla tipologia di immagine da realizzare. Più che una questione di tempo lavorativo necessario alla realizzazione di un servizio fotografico o di un’immagine quello che ci sta dietro è la conoscenza, ovvero quello che ti permette di portare a termine il lavoro in maniera soddisfacente. Una cultura dell’immagine come bagaglio personale e come background è necessaria come lo è essere recettivi alle tendenze perché anche nella cultura visiva esistono delle mode e delle icone visive che identificano degli spazi temporali, vedi gli anni ’80 o’90, sono tutte mode che poi ritornano. La composizione di un’immagine può occupare anche pochissimo tempo ma quello che conta è il proprio background, non è una questione di tempo ma di forma.

 

Un’immagine deve essere post prodotta, giusto? Che tipo di interventi fai e con che programmi? 

Esatto! Fondamentalmente utilizzo Photoshop ma dipende sempre dal servizio che si realizza. Se si tratta di un servizio commerciale cerco di fare il più possibile sul set e ritoccare il meno possibile l’immagine ricorrendo solo ad un ritocco di pulizia e di correzione colore, la così detta color correction. Per quanto riguarda i lavori e i progetti artistici il ritocco e la post produzione costituiscono l’80% del lavoro e quindi della produzione della fotografia.

 

Spiegami, che cos’è lo still life? 

Tecnicamente e letteralmente vuol dire natura morta. È un concetto che si rifà sicuramente alla pittura, infatti uno dei primi fautori dello “still life” può essere considerato proprio Caravaggio. Nel passaggio dalla pittura alla fotografia il termine è rimasto vivo nel tempo ed utilizzato per differenziare i fotografi di moda e di persone da quelli di oggetti. Io sono fotografa di still life e attraverso l’utilizzo della luce cerco di fare quello che facevano i pittori, dare forma e significato agli oggetti che fotografo valorizzandoli ed esaltandoli proprio attraverso l’utilizzo della luce.

 

Come si è evoluto il tuo lavoro negli anni? 

Si è evoluto tantissimo! Io ho iniziato nel ‘95 utilizzando la pellicola fotografica e il banco ottico e quando i tempi di lavorazione erano lentissimi, sia quelli di preparazione del set che di metodologia di scatto che prevedevano appunto l’uso delle pellicole e delle lastre 10×12 che si montavano sul banco ottico.

I tempi erano lunghi anche per poter vedere il risultato finale del proprio lavoro sul set fotografico. Passavano anche 24 ore prima che il laboratorio ti facesse vedere le foto sviluppate. Ovviamente non esistevano PC, Photoshop e post produzione, ho quindi vissuto il passaggio completo dall’analogico al digitale.

Sono sempre in cerca di nuove sperimentazioni che tengano viva la mia creatività, proprio per questo nell’ultimo periodo ho iniziato a lavorare con l’intelligenza artificiale, sperimentando così una nuova forma di metodologia lavorativa che passa attraverso la scrittura. Si perché funziona così: esistono delle applicazioni, dei software, che generano delle immagini realistiche partendo e basandosi su una descrizione testuale. Il collegamento tra semantica testuale e la sua rappresentazione visiva è possibile grazie al sistema di “learning image”. Su un centinaio di milioni di immagini e relative didascalie, il sistema riesce a capire quando un determinato frammento di testo si riferisce ad un’immagine.

In questo momento sto sperimentando due database, uno è Midjourney e l’altro è DALL-E. È molto stimolante sperimentare ma devo ancora capire in che modo poter utilizzare queste nuove tecnologie a livello lavorativo e se ci sarà la possibilità di farlo.

È sicuramente un argomento caldo visto che ne stanno parlando un po’ tutti, anche in ambito artistico, proprio come è avvenuto durante l’ultima edizione del TEDx a Genova dove ho avuto la possibilità di sperimentare l’AI realizzando in diretta delle immagini attraverso delle parole chiave individuate proprio durante i talk dell’evento stesso.

 

Una curiosità, com’è nata la tua passione per la fotografia? 

Più che una passione per la fotografia la mia è stata un’esigenza perché è stato per me l’unico modo di potermi esprimere sin da bambina. La passione è stata una conseguenza dell’esigenza e successivamente è diventata anche un lavoro. 

 

Qual è stato il progetto più importante o che ti è piaciuto di più al quale hai lavorato? E quello che avresti voluto o vorresti realizzare? 

Non c’è un progetto che mi è piaciuto di più. Ogni progetto che inizio mi piace sempre perché per me è un piacere fotografare e fare questo lavoro. Il più importante è stata la lunga collaborazione che ho avuto con la Fondazione Cartier di Parigi che mi ha dato la possibilità di esprimere al massimo la mia creatività attraverso la loro rivista Cartier Art.

 

Dammi una risposta diretta: foto a colori o in bianco e nero? 

Pur producendo al 90% foto a clori prediligo il bianco e nero perché ti permette di concentrarti di più sull’emozione che il progetto vuole trasmettere e sei meno distratto dai colori. Il focus è sull’emozione più che sulla realizzazione dell’immagine. Questa mia passione per il bianco nero posso applicarla nella realizzazione dei video artistici dove ho per fortuna la possibilità di scegliere.

 

Lavoro realizzato per TEDx Genova 2022

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