Comunità che ci sorprendono, comunità che ci spaventano

Navighiamo tra i big data della comunicazione e selezioniamo i contenuti di maggiore impatto e quelli più virali intorno al tema delle comunità, in particolare quelle virtuali. Oggi le virtual communities dilagano, rimbombano, ci aiutano, ci spiazzano.

Il mondo anglosassone – in queste ultime settimane – ci porta davvero lontano, tra metaverso e “token non fungibili”, la fantascienza diventa realtà. Giusto due esempi per rendere più concreto il concetto. Il primo lo pubblica Fox Business che – intervistando Larry Cheng, managing partner di Volition Capital, una società di capitale con sede a Boston – ci svela che il valore totale di tutte le vendite NFT (appunto “Non Fungible Token”) che hanno avuto luogo nel 2021 è stato di 23 miliardi di dollari. Nel 2020 non avevano raggiunto i 100 milioni di dollari, un’espansione – a dir poco – impressionante.

La seconda ce la offre McDonald che ha depositato una domanda di marchio per un ristorante virtuale fast-food, saltando così sul carro del metaverso.  Il colosso del fast-food intende creare ristoranti virtuali con beni sia reali che virtuali. In pratica, saremo stimolati ad andare al ristorante online – probabilmente dotati ciascuno del proprio avatar – dove potremo consumare sia beni virtuali che reali, con consegna a domicilio.

Su Forbes, Carlos Melendez – membro del Forbes Technology Council – sostiene che “il metaverso è pronto a diventare la prossima grande pietra miliare nell’evoluzione di internet che cambierà il modo in cui lavorano le imprese private e pubbliche. E, come con molte rivoluzioni tecnologiche come il telefono cellulare o il mobile computing, sarà guidato dal consumatore, alla ricerca della stessa esperienza digitale al lavoro che sperimenta a casa”.

Ecco, nel frattempo, cosa sta già succedendo: Amazon lavora all’e-commerce virtuale, un grande centro commerciale digitale dove passeggiare online con i nostri corpi digitali (in Italia li realizza, ad esempio, Igoodi – società specializzata nella creazione di avatar 3D di persone esclusivamente reali), dove chiedere informazioni sui prodotti da acquistare e dove, eventualmente, visitare anche una galleria d’arte virtuale.

Immagine 1 / dal sito di Igoodi.eu

Sulla combinazione tra arte, metaverso e “non fungible token”, si gioca buona parte della comunicazione sulle comunità virtuali anche in Italia, in questi primi mesi dell’anno. Economyup.it ha recentemente pubblicato una selezione di “startup del metaverso italiane e internazionali da tenere d’occhio nel 2022” dove segnalano come in anche in Italia si contino già diversi progetti sul metaverso e che utilizzano la tecnologia della blockchain e degli NFT per offrire esperienze uniche agli utenti.

Ma cosa sono esattamente gli NFT? Ce lo spiega il magazine Esquire che in un articolo di qualche settimana fa li definisce come “certificati di autenticità che rendono ciò cui sono applicati, cioè contenuti digitali intangibili, qualcosa di unico e non intercambiabile. Questi certificati vengono creati tramite la tecnologia blockchain, cioè una struttura di dati che si basa sulla condivisione e l’immutabilità: in sostanza è un registro digitale all’interno del quale le voci sono registrate a blocchi collegati in ordine cronologico, in cui una crittografia garantisce l’integrità del sistema”.

Applicati all’arte – ad esempio – certificano l’unicità e l’originalità di un’opera. Gli artisti che si sono lanciati in questo mondo virtuale sono sempre di più, anche in Italia. Alla fine del 2021, ha generato molto dibattito sul tema la nascita di ItaliaNFT, la prima piattaforma italiana di vendita di NFT dedicata al mondo dell’Arte e delle eccellenze Made in Italy.

L’immagine qui sotto riporta una sezione del loro marketplace con alcune opere in mostra.

Immagine 2 / dal sito italianft.art/marketplace

Ma in Italia il dibattito sulle comunità virtuali in questi ultimi mesi non si “limita” al mondo del metaverso, tra i temi più trattati e commentati c’è anche quello dei diritti collegati al nostro utilizzo di internet. Una recente intervista pubblicata da DITM “Diritto Mercato Tecnologia” al professor Raffaele Torino, ordinario di Diritto Privato Comparato presso l’Università degli Studi Roma Tre e responsabile della rivista on-line ‘Rivista di Diritti Comparati’, sottolinea alcuni concetti a cui prestare attenzione, qui ne riportiamo giusto due.

Innanzitutto, la forma della relazione tra noi e le piattaforme social: “le grandi piattaforme social network – sostiene il professor Torino – formalmente si pongono come un privato (che presta un servizio) di fronte ad un altro – in teoria “uguale” – privato (che utilizza il servizio). Ma, in ragione della centralità che hanno acquisito nella vita di centinaia di milioni di individui e della dipendenza che si è creata in ciascuno di noi rispetto a questa “vita online” (l’onlife di Luciano Floridi), esse esercitano su tutti coloro che creano la comunità virtuale che “vive” sulla piattaforma e vi “appartengono” (spesso credendo di poter influire sulle regole della comunità) un potere pressoché illimitato (di accesso, di regolazione della convivenza, di messa al bando)”.

In secondo luogo, la nostra capacità di scelta. Nessuno ci impone di far parte di un social network o di una comunità virtuale. Ma il fatto che le grandi piattaforme social network abbiano centinaia di milioni di partecipanti, le rende degli spazi pubblici? Con tutte le conseguenze in termini di accesso, condotte, attività? Il dibattito su questo tema ci poterebbe alquanto lontano. Chi desidera approfondire trova l’intera intervista a questo link.

In chiusura, un ultimo – ma non per questo meno rilevante – momento di attenzione: le uscite sul web e sui social delle ultime settimane in Italia relativamente alle comunità virtuali mostrano anche un lato oscuro dei nostri comportamenti digitali. Sono state infatti pubblicate, condivise e commentate, numerose notizie su attacchi di cyberbullismo, casi di pedopornografia digitale e produzione di contenuti digitali lesivi o diseducativi per bambini e ragazzi. Alcuni degli autori la definiscono una vera e propria “pandemia sul web”. È terribile che il concetto di “comunità” possa essere affiancato a questo tipo di comportamenti. Qui non si tratta di comunità ma di criminalità. Teniamo le antenne accese.

#noallaviolenza #nomasabusos #stopviolence

Questo articolo è stato pubblicato sul blo 6Memes del Gruppo Maps, qui la pubblicazione originale.